Attraverso le antiche immagini
La visualizzazione della ricerca di Ornella de Cataldo consente di dare emergenza ai tempi interni di un’espressività che sempre si è svolta nell’interiorità-separazione del mondo del reale inteso nella sua accezione di oggettivo.
Nei confronti di questa presenza esterna l’artista ha avvertito come il senso di un’oppressione – questi spazi che si restringono, gremiti di “cose”, in un arredo ossessivo ingombrante che non lascia entrare la luce del sole. Il colore infeltrisce, si fa brumoso e denso, l’aria si oscura e il gesto più semplice – “La donna allo specchio” – “La donna che cuoce il pesce rosso” – si trasforma e si trasmuta in situazione di tragedia congelata, che soltanto un lampo ironico può allontanare e nel distacco porre argine alla ossessiva aggressività.
Rivelazione
Poche volte ci è dato sentire una ricerca come risposta a un dovere, inevitabile, dominata dal senso della “necessità dei greci”; segno di un destino come di fronte al lavoro di Ornella de Cataldo. Dominata dalla forza dei fati, senz’altra possibilità né di fuga né di scelta, in viaggio; nel viaggio da compiere senza certezze di approdi, privo di oracoli.
Da compiere e basta, attraverso la “spoliazione di ogni condizione” in un restringersi sempre più dello spazio consueto per perdersi in una dimensione sconosciuta eppure luogo di vera identità, la de Cataldo ha rapidamente superato, si è liberata di ogni richiamo suadente, di ogni conforto d’illusione di ogni ausilio di ragione e di cultura, nell’accettazione di un impulso, di un gesto che progressivamente scarnificava, le “scarniture dolorose” già avvertite da Virgilio Guzzi che ebbe a seguirla nel suo lavoro di pittrice dalle origini – a metà degli anni 50′ quando veniva dalle lezioni di Toti Scialoia – ma come chiusa in un’esperienza che la sospingeva a maturare altre dimensioni della ricerca in alcuni grandi maestri di questo secolo, Nolde, soprattutto Sironi e Picasso nell’attrazione verso una forza di pittura capace di incarnare di immaginare la tragedia e la grandezza dell’umano, del “troppo umano”.